Da "La Cresa"
Tullio il sanguinario
Le più sagome di Pontremoli, una buona parte oramai se
ne sono andate; per fortuna che d'ognintanto ne vengono
su delle nuove che bisogna che ce le tiriamo su a brise
di pane che sono rare, che sinchinò non c'è più nessuno
che ci fa un po' ridere, per via che la gente un po' per
via delle guerre, quistioni economiche, malattie nuove,
cetera, hanno perso fena il vissio di ridere e di
schersare come una volta, overossia non c'è più burloni.
Invece Tullio Bernassani è uno di quelli che ci hanno
voglia sempre di schersare e di pigliare in giro la
gente.
Ecco che un giorno c'erano due vecchiette che si
volevano bene come due fratelli e la mattina quando che
andavano a fare la spesa si pigliavano a braccetto e si
racontavano che una la notte ci aveva avuto male a un
braccio, quell' altra un cerchio alla testa e che non
aveva potuto mangiare il giorno prima, cetera e poi
andavano insieme a comprare il pane e la pasta.
"\ Allora Tullio voleva farci i dispetti e un giorno ne
chiappa una e ci gonfia la testa che quell' altra ci
diceva dietro, che ci dava i nomi, come sarebbe che non
si lavava mai il collo e che non era buona di fare il
letto. Il giorno dopo, invece chiappa l'altra e ci dice
tale quale le stesse cose. Quelle donette da quella
volta si tenevano il broncio e quando si incontravano
dal macellaio si guardavano in cagnesco, che pareva che
si volevano dare di bocca.
Ma un giorno che non ne potevano più, taccano lite
proprio dal macellaio e se ne dicono più di Caco, che
una diceva all'altra che era una linguaccia, una
disordinata, una buona da gnente e una criticona e
alsavano l'ombrello come per darselo nella testa
riciprocamente. Alla fine a forsa di darsi la colpa
l'una con l'altra vengono a scoprire che era stato tutto
uno scherso di Tullio, la quale per fare la pace alla
sera faceva fare un bel caffè forte che alle vecchiette
ci piace giù bene, e lo bevevano tutti insieme e ci
davano delle pattarelle sul lardo della schiena che sarà
un quintale e mèso e ci dicevano: - Questa volta ce
l'hai fatta, brutto animale!
Che Bernassani ci ha un cuore così, che se tanto da
tanto per via della mole, è grosso come quello di un
elefante.
Una volta che c'era un circo che faceva rincrescere
dalla miseria che ci aveva attorno, che non ci andava
nemmeno uno a vederlo, per farci guadagnare quelli della
supa, è andato nella gabbia dei leoni in compagnia del
domatore, che appena le bestie feroci l'hanno visto
capitare drento, si sparluccavano i lèrfi, che me
chinavo gli occhi dalla paura di vedere partire quei bei
parsuti e quella papagorgia in bocca ai leoni.
Un'altra volta invece c'era alla Rosa una parpula di
pnotisatore, che quello non faceva gnanca dormire Ceco,
si bene che lui apena si mete a sedere nel caffè, si
dormenta e si sveglia quando Alvaro dice che è finita la
trasmissione.
Tutti fischiavano e davano i nomi a quel prestigiatore.
Allora Tullio si presenta sul palco per fare lo
sperimento anche lui di farsi pnotisare. Quell'uomo ci
diceva piano: - Adesso fa conto di suonare le campane.E
lui da quella via faceva le mosse con le mani e lo
guardava fisso.
Allora Tullio faceva finta di tirare le corde e sbufava
come il mantice di Campanella e era tutto sotto sudore.
- Adesso fa finta che ci hai i pidocchi e gratati.
- Lasciate fare a me!
- Adesso signori, vedrete come qualmente questo illustre
cittadino della vostra bella e nobile città, la quale il
suo subcosciente crede che ci ha a dosso i parassiti
della pidermide, passerà a grattarsi, come che fano le
scimmie dell'Africa quatoriale del Nord.
E mentre ci butta a dosso tanto d'occhi sgranati così,
ecco che Tullio, tacca a grattarsi come se ci aveva i
s-ciopli, poi levasi la giacca in fretta, grattasi sotto
le lasene, nei galoni, nella pancia, poi levasi i
stracali che se il pnotisatore non riva a tempo, s'era
levato ànche i calsoni e era rimasto in mutande.
A raccontarle tutte quelle che ha combinato quello lì ci
vorrebbe un libro grosso come il Messale del prete, che
aveva messo fena in subuglio la città perché aveva dato
da bere che andava a "Lascia o raddoppia?" a rispondere
a delle domande sulla Monarchia e che se rivava a
l'ultima domanda, avrebbe gridato davanti alle camere
televisive: - Viva il Re d'Italia. E tutti si
raccomandavano che non faceva lo stupido che adesso c'è
la Repubblica e che a dire di quei lavori lì, c'è
d'andare in gattabuia senza gnanca dire amen.
Tullio, che io ci ho piacere, guadagna anche dei bei
soldarelli col suo mestiere da infermiere, e fa tante
lemosine a chi ce n' ha bisogno, che, (non vorrei adesso
che la pigliano troppo alla lettera i statali, che
sinchinò fano la coda davanti all'ambulatorio) non
rifiuta mai un piacere ai bisognosi che questo stinto ce
l'aveva fena da giovanotto quando era andato nei frati
Fatebenefratelli. La quale lui veramente anche da
borghese si sente fratello di tutti, buoni e grami che
sono, e il bene lo fa, e quando non ci ha più altro da
dare, dà via anche il suo sangue gratis amore dei ai
malati, anemici, operati cetera. Sono quattro anni che
dà via il suo sangue a chi lo vuole, e proprio
stamattina mi ha detto che ne ha già dato ottantuno
chili e che lui è come il posso di San Patrissio che più
che ce ne levano e più ce ne ha.
Adesso hanno messo su la sessione dei donatori e fano la
sede e ci sono drento tanti bravi ragassi che sono
disposti a dare il sangue per gnente; allora ce lo
cavano con delle siringhe e poi lo mettono drento delle
belle boccettine che mettono in fila in un frigorifero
e, quando uno è anemico, va all'ospedale e ce ne dàno
una bottiglia e anche a chi dà dei patoni e si sgrugna e
perde il sangue celo dàno anche a lui e così via, che è
certo una bella nissiativa.
La quale se in quattro anni Tullio ne ha dato via
ottantun chili, fra venti ci saranno più di
millecinquecento fra uomini e donne che portano a spasso
il sangue di Tullio, che, se buon sangue non mente,
nelle future generassioni un briciolino a Pontremoli ce
l'avranno tutti e speriamo che così gli uomini saranno
bravi, generosi e buoni come lui.
Uomini di casa
Non cè gnente da dire: ci si nasce proprio con
l'inclinatura da uomini di casa, e non cè gnente da
fare: con più passano gli anni peggio è.
Presempio ci sono degli uomini che sanno fare un po' di
tutto. Sanno piantare un chiodo, incolano i bachi delle
caree; imbiancano la cucina, tramudano i fiaschi del
vino, cambiano le guarnissioni ai rubinetti, e se salta
la luce, tanto armusnano intorno al contatore, alle
valvole e alle marlette che alla fine si riaccendono
lampadine. Ci sono di quelli poi che sanno lustrare i
vetri meglio che una massaia; lavano i piatti e sugano
le stoviglie con una maestria straordinaria che è un
gran difficile che scocciano un bicchiere.
Quando hanno finito i lavori domestici, sono soddisfatti
e aspettano con ansia la moglie che torna da spasso o
dalla pettinatrice.
Quando riva, ci vanno incontro e l'accompagnano a vedere
l'opera compiuta, con il petto gonfio d'orgoglio.
La moglie è sempre sensibile a queste manifestassioni di
collaborassione e di mutua assistensa. Poggia la
borsetta sul tavolo del salottino, si sfila i guanti e
con le manine lisce e le unghie a punta tinte di rosso,
stringe il faccione del suo bambolotto e, stampandoci un
bacione sulla fronte che la sentono anche i vicini di
casa, ci dice:
- Sei il mio micino, il più bravo maritino del mondo:
come te non cenè altri!
Poi riprende la borsetta, estrae cento lire con la punta
dei diti che lei dei soldi cià un po' scrupolo per via
dei microbi, e porgendoli al suo bambolotto, rosso in
viso dalle mossione, ci dice: - Prendi questi e vai a
divertirti, ché te li sei meritati!
Il maritino modello, quello che sa fare tutto, come ho
detto sopra si riconosce alla faccia.
E' sempre l'ultimo a rivare al bar e non trova mai i
compagni per far la partita, perché si sono giamé tutti
sistemati. Alora, visto che le cento lire sono tutte a
sua disposissione, si fa fare un caffè e al posto del
resto si fa dare due sigarette. Fuma e partecipa alla
discussione comune al termine di ogni raggio di
briscola. Dognitanto guarda l'orologio e a un certo
punto, cortosi che è l'ora del rientro, s'alsa di scatto
e infila la porta come una saetta, perché deve rivare a
casa in tempo per aiutare la mogliettina nelle faccende,
perché, subito dopo, deve andare al lavoro che cià il
turno di notte.
Invece cè un'altra categoria di uomini che sono
d'inclinatura diversa. Mio padre gnanca lui ciaveva
nessuna titudine per la casa e specie per la cucina.
Nansi che frigersi un uovo piutosto stava tre giorni
digiuno. Mio fratello Guglielmo ha provato una sola
volta, ma si è subito scoragiato e non ne ha voluto più
sapere.
Era successo che mia madre da un paio di giorni aveva
dato alla luce il suo settimo figlio che era il
sottoscritto; mio babbo era in servissio e il più grande
dei figli, che doveva dare una mano in casa era proprio
mio fratello Guglielmo che era il primogenito e aveva
poco più di tredici anni e era in vacansa dal collegio.
Allora noi si bitava nella Costa proprio di fronte alla
stassione: Mia mamma cià detto se era buono di fare la
minestra in brodo e lui ha risposto che era il suo
forte, che ciavevano insegnato a Varazze, in collegio.
Figuratevi se poteva essere vero!
Mia mamma allora cià detto: - Prima di tutto và da
Carletto e compra la pasta e la soda per lavare; poi và
dal macello e fatti dare la carne da brodo. Ecco qua i
soldi!
- Vado e vengo.
La sua più cosa difficile da ricordare era la parola
"soda" e al ora lui per non sbagliarsi, mentre camminava
continuava a dir dentro di sé: soda, soda, soda, soda,
soda. .
Quando è rivato ai Capucini, la soda era diventato
"duro". E lui continuava a ripetersi: duro, duro, duro,
duro. Così quando è rivato da Carletto voleva a tutti i
costi che ci dava un chilo di "duro" . Il povero
Carletto cià messo mèsora a capire che invece era la
soda. Fatta la spesa, mio fratello torna a casa di
corsa. Ha acceso il fuoco e ha fatto tutte le cose per
benino, poi è venuto da mia mamma e cià detto:
- O ma, la pasta lè cota: a la bùt sù la carna?
- Fa cum'a t'ampàr! lo me ne fregavo, perché da quella
via avevo smesso di sgnavlare, perché avevo imparato a
tetare.
E' questione di rassa: se uno non nasce per quel verso,
non ce gnente da fare.
Me partengo a questa seconda categoria. Non voglio
gnanca dire che è per cativeria, ma non mi rensa
proprio. Se, presempio, mi metto a taccare un quadro
prima di tutto mi schiaccio col martello tutti i diti
della mano sinistra sensa chiappare una sola volta il
chiodo, poi ala meglio pena lò infilato nel muro mi
scapa di mano il quadro che va in frantumi il vetro. Una
volta mi ricordo che mero messo in testa d'incolare un
baco della careina della Maria Luisa: ciò traficato
intorno quattro ore e mèso e alla fine che avevo
incolato quel baco, avevo scolato gli altri tre.
Quando andavo a prendere la legna in cantina dovevo
pormnni dietro Pierino e sua sorella perché racoglievano
quella che mi argurlava da drento la cesta che era anche
un po' rotta. Quando rivavo in cima drento la cavagna
cerano ancora due o tre rondèli e Pierino e la Maria
Luisa da tanti che ne avevano arcoiti cene avevano una
pila che non vedevano gnanca più dove andavano. Però ci
regalavo cinquanta lire a testa!
Una volta, per dare la copale alle porte mi ho rovinato
un paio di calsoni squasi nuovi e un gilè; ho macchiato
una coperta del letto, due tendine da finestra, una
camicia da notte e tre centrini. Se davo da fare il
lavoro al Signùr, risparmiavo 56 mila lire!
Un'altra cosa che non mè mai riuscita di imparare da
ragione è quella di aiutare la moglie a pigare i
lensuoli quando non sono assiutti per bene. La Gemma mi
dice:
- Devi tenerli per bene strinti nei pissi in cima e
stare bene attento a non farteli sguijare di mano,
quando ci diamo la sbattuta,
sinchinò vano per terra e mi ritoca lavarli. Sta bene
atento, che non fai come l'altro giorno!
Ebbene, pare che ciò il malocchio: ogni volta che mi
metto in posissione giusta per l'operassione, non cè
gnente da fare: al primo sbattoncello che la Gemma ci
dà, sarà la scarogna, sarà le mossione.. " slampate, i
lensuoli vano a leccare i pavimenti. E io devo stare
cinque minuti con i diti nelle orecchie per via che sono
permaloso e non posso soffrire i sgridamenti della mia
sovrana. In ventisei anni di matrimonio non ho imparato
squasi gnente di lavori domestici, ma devo confessare
sensa falsa modestia, che due cose le ho imparate
veramente bene. Il tirocigno è stato lungo e faticoso,
ma ramai posso afermare con giusto orgoglio che il
meglio della casa sono me: primo, so dare il smalto ai
scuri delle finestre; secondo so tirare giù e rimettere
su la stufa. Pulirla no! Per imparare a dare il smalto
ai scuri è stata un po' dura e ho incontrato delle
spese, ma alla fine celò fatta.
Ecco che la prima volta la dolce compagna della mia vita
mi ha comprato un baratolo di smalto color avorio, un
pennello, dell'aqua ragia e cinque fogli di cartavetrata
di gradassioni diverse.
- Guardiamo se almeno sei buono di dare lo smalto a
questi quattro scuri, che gnanca la vergogna ricevere in
casa della gente che cè più pulito nella gra di Braia.
Mettiti subito al lavoro che quando torno da farmi i
capelli voglio trovare tutto apposto, che siamo d'estate
e stano un minuto asciugare.
Quello che ho dovuto sgrimare con la carta vetrata,
lamette da barba, cortline cetera per levare i
gromignoni che cerano ve lo lascio pensare a voi. Ma
quando ho finito la prima operassione, sibene che ero
stanco morto, ho dato mano al pennello e taca a smaltare
un scuro dopo l'altro che non li riconoscevo più da
tanto che erano bellissimi.
E' vero che il pavimento era diventato bianco avorio
anche lui per via dei sbrodolamenti che avevo fatto, ma
il lavoro mera venuto una bellessa. Alora ho pensato che
per fare una bela improv'isata alla donna che ciò dato
il cognome, era meglio che li rimetevo su, si bene che
non erano ancora sciutti dalla ragione.
Quando la genitrice della mia prole sè facciata in
cucina, me credevo che ci chiapava un infarto. Ha tirato
un urlo che sè riunita tutta la parentela. Me ero
rimasto lì impalato coma un tarluco sensa sapere il
perché di quel rabbiamento.
melà spiegato subito dopo però. Per prima cosa dovevo
dare il straccio in bevuto di aqua ragia dove i scuri
sgolavano lo smalto, poi dovevo tirarli giù, sgrimarli
un'altra volta per cavarci i canaleti che cerano venuti
per via dello sgolamento e in fine, dovevo ripassarli
per bene con lo smalto, dopo aver cavato, s'intende a
uno a uno, tutti i peli del pennello che cerano rimasti
attaccati.Naturalmente alle spese dei nuovi acquisti
dovevo provve con i miei risparmi. L' operassione è
durata tre giorni pieni, che a forsa di mani di smalto i
scuri erano aumentati di spessore e non entravano più al
suo posto che per rimediare all'inconveniente ho
sconsumato due pacchetti di lamette gilette nuove.
Quando Carlo Laba mi vedeva rivare a comprare un
buslotto di smalto bianco avorio e una bottiglia di aqua
ragia mi diceva: - Ma, dim un po' l'anvrità: tùt sè miss
a lavurer cun l'impresa d'te cugnad?
- No, an so cmé passèr al tempe e alura a mè gnù la voia
d'pulir tùti i scùri dal palass.
Però ora posso dire con soddisfassione che il lavoro lo
so sbrogliare bene: al massimo più di quattro mani di
smalto non ci do e più di due giorni non ci metto.
Il lavoro più noioso però è sempre stato quello della
pulissia deIIa stufa che bisogna tirarla giù tre o
quattro volte l'anno per via che per risparmiare, mèsa
legna la compriamo forte e mèsa di castagno.
Il lavoro è difficile perché la stufa è vicina alla
finestra e il buco del tubo che va drento al camino è da
un'altra parte che per rivarci prima bisogna metter su
due tubi, uno infilato drento l'altro, dei tubi sulla
stufa, poi in cima un bel gomito, poi un altro tubo
lungo, poi dopo un altro gomito che bisogna fissarlo con
il fil di ferro al chiodo del muro che sinchinò dà giù,
poi dopo un altro tubo un po' inclinato e per finire un
gomito che è quello che si deve infilare nel buco posito
del camino.
Una volta la regina della mia casa ha voluto
spérimentare un lavoro collettivo cooperativistico in
vista della pulissia pasquale. Eravamo impegnati io, la
Neta, la Gemma, Pierino e la Maria Luisa che era ancora
piccina piccina, alta così. Me mi avevano messo su un
grembiule da lavandino con una specie di stracalli che a
guardarmi ciavevo vergogna, la Maria Luisa ce l'aveva
anca lei che voleva fare la donna e così via anche gli
altri fuori Pierino, che ha rifiutato di mettersi anche
il grembiule della squola dalla paura che qualcheduno lo
scambiavano per una femmina.
Si trattava di tirare giù la stufa, ripulirla per bene e
poi rimetterla su dopo averci dato la polverina di
luminio. Devo spiegarvi che me, montare in cima alla
tore Eifel, alla cupola di San Pietro, alla Mole
Antonelliana, su una pianta di pesghi o su una scala a
pioli da un metro e cinquanta è la stessa cosa, perché
mi gira la testa a una moda che mi pare di trabucare da
un momento all' altro per terra.
L'amministratrice della mia tredicesima non può credere
che uno che ha fato cinque anni di guerra cià paura a
alsarsi un metro da terra e che per lei sono tutte scuse
per non far gnente. E io vi giuro che morissi che è
vero. .
Ecco che alla fine dispone le cose così: Pierìno doveva
montare sopra i fornelli a carbone, come usavano a quei
tempi, e doveva tenere con forsa il tubo di mèso,
facendo bene attensione a tenere le gambe larghe per non
rovesciare la pugnata che cera drento il minestrone che
bolliva. Siccome la posissione del continuatore della
mia stirpe era piuttosto scomoda, la Neta doveva
sostenerlo sul fondo dei calsoni e da quella via tenerlo
su di morale che non si stufava. lo, naturalmente, in
omaggio al mio passato guerriero e a tutti gli atti di
eroismo dimostrati nell'ultima guerra, dovevo montare
sulla scala, mentre la Gemma, più che altro per darmi
fiducia teneva un piede poggiato alla scala, e un altro
rembato ai carcagni della Neta, dalla paura che se
sguijava poteva mollare Piero, il quale di conseguensa
non poteva fare a meno di sedersi drento la pugnata del
minestrone.
Le braccia le teneva largate e alte verso di me, che se
mi sucedeva qualche cosa ci cascavo dolcemente in scosa.
La mia Maria Luisa imitava la sua mamma e largava le sue
manine piccine e grassottelle verso di me e da quella
via diceva: - il mio babbo è il più grande di tutti! La
prima parte dell' operassione consisteva nel staccare il
gomito dal buco del camino, quindi, ancora il
sottoscritto, doveva sporgersi tutto a destra, ossia
dall'altra parte e sganciare il famoso fil di ferro
taccato al muro; in fine, tenendo bei pari con le mani i
due tubi sempre a livello per non far cascare la
fulisna, dovevo scendere delicatamente la scaletta,
mentre la direttrice dei lavori doveva abbandonare la
posissione primitiva, doveva correre alla stufa,
staccare l'ultima parte del tubo che vi poggiava sopra e
sempre all'unisono con me e Piero, dolcemente e con
grassia poggiare tutto dove prima ciaveva messo dei
giornali vecchi, con l'ordine di non far cadere gnanca
un granello di fulisna, sinchinò volava da per tutto e
sarebbe nato il finimondo.
Riepilogando me mi trovavo in cima alla scala, a mèsa
strada tra il filo di ferro e l'imbocco del tubo nel
camino. Cercavo di non guardare in terra dalla tema che
mi chiappavano le vertigini. Mi tenevo piuttosto sulla
destra, perché, se cascavo, almeno non andavo adosso
alla Maria Luisa ma fra le braccia della mia consorte.
Da quella posissione, veramente, non mi veniva a bene a
staccare il tubo dal buco. La Gemma mi diceva:
- Me mi domando e dico come farai da quella posissione
lì a far forsa per staccare il gomito! Non ho mai visto
una cosa compagna...
- Da qui mi pare che ci vedo meglio -. Ma non era mica
vero.
- Come farai con quei bracci. Voialtri Necchi ciavete
tutti i bracci corti.
Quello è vero! Ma me, spostarmi dalla parte della Maria
Luisa, il quore non me lo diceva.
- Povero il mio babbino - diceva ognitanto.
- Povero esercito italiano! - diceva la mia consorte.
Pensare che cera della gente che credeva che con soldati
di questa stoffa si doveva conquistare l'impero!
A questa provocassione non ciò più visto anche perché
avevo chiuso gli occhi per non vedere il pavimento, e
con un improvviso spostamento sul tronco mi sono portato
tutto sulla sinistra e tira che ti tira, finalmente
stacca il gomito dal buco.
- Finalmente! - ha detto trionfante la mia compagna - ci
voleva tanto..., e di gamba è andata alla stufa per
staccare il tubo, e poggiada dolcemente per terra,
mentre io, secondo i suoi ordini dovevo scendere
lentamente dalla scala. Ma aveva fatto male i suoi conti
perché la Neta, venendoci a mancare l'appoggio ai
càrcagni, sguija all'indietro e abandona Piero al suo
destino, il quale, stufandosi della facenda che andava
per le lunghe, proprio in quel momento aveva mollato il
tubo, il quale, staccatosi dall' altro, bello paro casca
sui fornelli; la Neta, con quella sbandata all'indietro
era caduta in ginocchio e pareva una musulmana che
diceva le preghiere.
La mia scala, in tra il mancato apoggio della Gemma, in
tra lo spintone del posteriore della Neta, sera messa a
sguijare lentamente sotto la tavola.
lo da bravo soldato, ho tenuto saldo il tubo a costo
della vita e non lò mollato gnanca quando mi sono
trovato lungo e disteso sulla scala.
Soltanto che il gomito, mi è prilato fra le mani e mi
sono trovato faccia faccia con lui. Vi giuro che non
avrei mai creduto che drento un gomito di stufa ci stava
tanta fulisna. Tutta quanta mè finita in faccia compreso
gli occhi e io in tra la rabbia e la fulisna vedevo
tutto nero. ..
Quando ho fatto per alsarmi ho dato una ciunata sotto il
tavolo che ho fatto argurlare due bicchieri per terra.
Parevo il Moro di Venessia.
Quello che mò sentito dire in quella circostansa lo
lascio indovinare a chi cià un po' di fantasia.
Pierino stramalediva che era l'ultima volta che toccava
un robo da stufa, la Neta finite le preghiere, invocava
aiuto che qualcheduni l'aiutavano a alsarsi che cera
venuta la sinovite ai ginocchi. La Gemma girava con un
tubo in mano e non sapeva dove poggiarlo e me lo avrebbe
tirato volentieri addosso se non ci dispiaceva che
volava la fulisna da per tutto.
I miei nipoti, che erano rivati li chissà come, ridevano
a crepapelle pèrché credevano che cera il film di
Ridolini. In mèso a tanto trambusto la voce della mia
Maria Luisa che diceva con le mani giunte: Povero il mio
babbino!